Dierico e dintorni
 
DIERICO perla della Valle D'Incarojo
immagini dei dintorni
CENNI STORICI SULLA CARNIA


Note storiche tratte da “DIERICO di PAULARO (UDINE)”
Di don Nazareno ZOMERO

La Carnia prese il suo nome dalle antiche popolazioni galliche che si erano stabilite a cavallo della catena alpina, nella zona delle Prealpi e in parte del Friuli.
Poco nota è la sua storia, per quanto frequenti abbiano dovuto essere i contatti, certamente poco amichevoli, con la civiltá di Roma. Si sa con certezza che nel 115 A. C., il console romano M. Emilio Scauro passó le Alpi Carniche per battere alle spalle i Carni, sottoponendoli in tal rnodo al dorninio di Roma.
La vittoria romana costó cara ai Carni che dovettero cedere un terzo delle loro terre e ritirarsi in quei luoghi dove prima avevano le malghe e cioé tra le nostre montagne.
Forse, dunque a quest'epoca risalgono i nostri primi centri abitati!
Per tenere a bada le bellicose popolazioni carniche Roma fondó Zuglio Carnico e dovunque, nei luoghi piú elevati, costrui delle fortificazioni (i ciastilirs) dalle quali le vedette facevano col fuoco e col fumo le segnalazioni.
I Galli Carni adoravano certamente il dio Beleno, prima della conquista romana; piú tardi, abbracciarono la religione di Roma (si parla ancora di pagans, di paianins), mentre la loro evangelizzazione, pare sia avvenuta per opera dei santi Ermacora e Fortunato, discepoli di San Marco.
Caduta Roma, anche le popolazioni della Carnia dovettero subire i guai delle invasioni barbariche, sopportare la distruzione dei loro villaggi, il massacro della loro gente.
Cessata quella bufera, i Carni, come afferma lo storico Nicoló Grassi,
ricostruivano i loro villaggi e fecero sorgere le loro bellissirne ed artistiche chiese: questo accadeva tra 1'800 e il 1000.
II Patriarca di Aquileia prese a governare la Carnia e quindi anche la valle del Chiarsó nel 1077; nel 1420 subentró la Repubblica Veneta che dovette cedere la regione all'Austria con il Trattato di Campoformido nel 1797.
Finalmente nell'ottobre del 1866 la Carnia tornava all'Italia; si conserva tuttora copia del plebiscito con il quale la popolazione di Paularo e frazioni rnanifestó la sua volontá di riunirsi all'Italia.
Nel Medioevo, la Carnia era costituita in Gastaldia, corrispondente ad una specie di circondario amministrativo: il gastaldo dimorava a TOLMEZZO e governava per il patriarca; riscuoteva le tasse, curava la difesa, le strade, rendeva giustizia. Tutta la Carnia si suddivideva in quattro quartieri a capo dei quali c'era un capitano. I paesi, prima chiamati (1) « ville » poi « comuni » erano retti dal « meriga » assistito da due giurati eletti dai capi delle famiglie.
Venezia, subentrando al patriarca di Aquileia, lascia intatti i governi locali che verranno mutati con Na-poleone: saranno costituiti i comuni su per giú come quelli attuali gover-nati dal Consiglio Municipale e dal-la Congregazione (Giunta) munici-pale. Dierico diventa in tal modo fra-zione del Comune di Paularo.
(1) II vocabolo medioevale permane nell'uso; infatti le due estremitá (nord e sud) del paese vengono tuttora chiamate: «In som da vile », « da pit da vile ».

DIERICO
PAESAGGIO E NOTE STORICHE

DIERICO, frazione del Comune di PAULARO, in Carnia, é una borgata di oltre un centínaio di case, posto a 657 metri sul livello del mare, su un terrazzo alluvionale, alle falde del monte Zóf (m. 1241), quasi a vigilare la grande ansa che la valle del Chiarsó compie a questo punto, per dirigersi poi verso lo sbocco nei pressi di CEDARCHIS di ARTA TERME.
La borgata gode di una posizione molto aprica; domina il canale detto anche d'Incaroio e da qui lo sguardo puó spaziare verso le cime piú elevate: la Creta di Mezzodì (m. 1806), sovrastata dal cupolone del Sernio (m. 2190), il monte Ludin (m. 2015), Val di Puartis (m. 1935), la serie di cime digradanti lungo la vallata in fondo alla quale dominano il monte Verzegnis (m. 1915) e il monte Piombada (m. 1744).
DIERICO é punto di congiungimento di strade, per ora solo mulattiere che, dalla vallata, conducono a Moggio Udinese e a Pontebba attraverso la forca di Fau (m. 1346) e la Praduline (m. 1483) ed offre a chi voglia camminare innumerevoli passeggiate.
Singolarmente riposante il verde intenso in cui il paese s'immerge in primavera; pacatamente vivace la gamma di colori che lo incorniciano in autunno, mentre, durante l'inverno, il luogo assume, sotto la neve, l'aspetto di un presepe.
In questa stagione la pace é assoluta; é interrotta solo dal festoso coro dei grilli nella primavera, da quello del cuculo e dai secchi colpi dell'accetta dei taglialegna in autunno.
Il clima é buono, non eccessivamente freddo nella stagione piú cruda, mite nelle altre. Le acque, che zampillano numerose nei dintorni sono freschissime, impregnata di lieve profumo di resina l'aria.
1 terreni coltivati davano fieno abbondante, ottime patate, gustosissimi fagioli e poco granoturco, (sono pochi oggi coloro che si dedicano a queste attività)
I boschi, che ospitano lepri, camosci, caprioli, qualche cervo e pollame selvatico, sono ricchi di abeti, di faggi e di larici. Scarseggiano, invece, nella campagna attorno al paese, gli alberi da frutta e quasi del tutto scormparsi sono i noci che caratterizzavano i paesaggi della Carnia e che da noi dovevano essere numerosi specie in localitá Noiarét.
II paese ospita circa 600 abitanti


La Parrocchia
L'esistenza di documenti e, in particolare di registri di battesimo risalenti al 1300 potrebbero chiarirci molte cose, ma gl'incendi li distrussero e la nostra curiositá rimane, per ora, inappagata.
A questo punto sará bene chiarire che i registri divorati dalle fiamme non si trovavano né a PAULARO, né a DIERICO, ma a ILLEGIO il cui parroco aveva giurisdizione sulla nostra vallata e quindi sul nostro paese.
La storia di quella parrocchia parla di due incendi in canonica: uno nel 1300 e un altro nel 1500.
L'esame dei registri esistenti nella parrocchia di PAULARO ci consente, comunque, di elencare i cognomi degli abitanti di DIERICO dal 1500.
Secondo una graduatoria di frequenza essi sono: Speciaro, Fabiani, Dereani, Blanzano, Reputin. Nel 1600 si aggiungevano altri: Lombardo, Sartori, Mazzoliti, Fris, Galizia, Pitoni, Zearo, Pitin, Sappada. Ultimi a comparire sono, invece: Silverio, Unfer, Temil, Adami, Treu, Tamani.
Molti di questi cognomi sono oggi scomparsi nell'ambito del paese, quali: Speciaro, Blanzano, Mazzoliti, Fris, Galizia, Pitoni, Pitin, Temil, Tamani.
La provenienza di alcuni di essi é sufficientemente chiara: i Galizia, i Zearo, i Pitin, i Treu dalla vicina vallata di Moggio Udinese e dintorni; i Silverio da Timau; gli Unfer da Paluzza; gli Adami da Vinaio di Lauco. I Dereani hanno forse preso il nome dal paese, mentre i Fabiani sono originari di Gemona.
Con il moltiplicarsi di alcuni cognomi, era necessario giungere alla distinzione dei gruppi di parenti e nacquero, così, i soprannomi che venivano attribuiti in base all'attivitá prevalente nel gruppo o all'origine della famiglia: i Segats erano padroni di una rudimentale segheria; i
Moges provenivano da Moggio; i Marangóns si dedicavano alla falegnameria; i Craváz erano oriundi dalla Croazia.

Caratteristiche dialettali
II dialetto del paese é quello comune a tutta la Carnia; si differenzia, tuttavia, anche da quello dei paesi vicini soprattutto per alcuni caratteristiche di pronuncia e un patrimonio lessicale meritevole di uno studio piú approfondito.
Qui tutte le vocali sono pronunciate molto. aperte e principalmente la “e “. Comune, inoltre, a tutti gli abitanti é la pronuncia della consonante « r » diventata quasi una gutturale. Queste due parti-colaritá sono, pertanto, i segni distintivi degli appartenenti alla borgata.
Esclusivi del piccolo centro sono, come accennato, molti vocaboli di cui riportiamo solo alcuni esempi: pup = fanciullo; pupe = fanciulla; puém = giovane; pueme = giovinetta; gogos = maggio-lino; ecc.

La religiositá
II paese si é sempre distinto per fede genuina e semplice; le feste religiose erano molte durante l'anno tra cui quella di S. Giovanni, di S. Giacomo e tutte quelle dedicate alla Madonna.
Si tratta forse anche di sentimenti re-ligiosi risultanti di varie componenti quali l'evangelizzazione antica e recente unita alla sopravvivenza di credenze anteriori al cristianesimo solidificatesi poi in leggende, tradizioni, racconti, forme di religiositá medioevale su un fondo naturalmente superstizioso e utilitaristico.
L'isolamento in cui vive la gente per gran parte dell'anno favorisce un contatto quasi immediato dell'uomo con Dio, tanto che non sempre viene avvertita come necessaria la mediazione del sacerdote.


La tradizione
I boschi e le rupi sono abitati da anime condannate. Diversi luoghi portano nomi che ricordano leggendarie apparizioni, terrificanti avvenimenti: Plan di sante Marie, Plan das stries, ecc. e, attraversandoli, si pregava, si facevano scongiuri, si elevavano invocazioni.
II temporale é segno dell'ira di Dio: sconvolge la natura quando in paese muore un poco di buono; travolge e distruge i poveri raccolti per castigare l’intera comunitá a causa del cattivo comportamento di una parte di essa. In questi frangenti, si brucia incenso benedetto, si suonano le campane, si prega ovunque ci si trovi.
I rapaci notturni, la civetta e il barbagianni, sono messaggeri di lutti; il fulmine colpisce chi si ribella a Dio o ai suoi santi. Non esiste ateo; tutti credono in Dio, ma forse molto anche nel destino e di fatalismo é pieno il discorrere di uomini e donne di fronte a una malattia, a una disgrazia.
La salvezza dell'anima é un bene che si acquisisce naturalmente attraverso il sacrificio, il lavoro, le sofferenze: fine quasi esclusivamente utilitaristico viene ad assumere, di conseguenza, la religiositá.
L'animo della gente del paese é sostanzialmente buono: la gioia e il dolore di una famiglia le unisce tutte; la solidarietá é spiccata e maggiore lo era negli anni passati.
Molto attaccata ai fazzoletti di terra che le famiglie possiedono lungo le pendici delle montagne, li difendono con i denti e ció é frequentemente motivo di litigi, di rancori, di cause civili, di dissidi di lunga durata.
La laborositá e il risparmio sono le altre lodevoli caratteristiche della gente di Dierico costantemente intenta a mi-gliorare le abitazioni, il regime alimen-tare, l'abbigliamento e a crearsi alcune comoditá.

Le solennitá
Oggi si festeggiano con particolare pompa S. Pantaleone, il 27 luglio, e S. Rocco, il 16 agosto. Quest'ultima é la solennitá piú importante del paese: viene annunciata da uno scampanio festoso tre giorni prima e, per celebrarla, tornano dall'estero tutti gli emigranti e le persone che, native del paese, si sono sparse in varie parti d'Italia. La sagra di S. Rocco fu istituita, probabilmente, alcuni secoli fa, forse per scongiurare la peste che nei sec. XIV e XVII aveva afflitto alcune regioni d'Italia. Una statua del Santo, risalente al 1400, esisteva nella chiesa del luogo fino a non molto tempo fa e ció puó confermare quanto asserito.
La Chiesa
Esisteva giá nel 1300; di essa ci rimane oggi solamente il coro con due finestroni modificati probabilmente nel sec. XVI. Lo stile di questa antica opera, oggi monumento nazionale, é chiaramente gotico; di particolare pregio sono i costoloni del soffitto.
II campanile, completo di cuspide, sorgeva nel 1577 per mano di maestranze di ILLEGIO.
E' bene ricordare, a questo punto, che la chiesa di DIERICO e quelle della vallata dipendevano allora dal Patriarca di AQUILEIA e dalla pieve di ILLEGIO.
Ancora nel 1300, peró, un abitante di DIERICO, certo Giovanni Conai, assieme a Lorenzo Vidoni di VILLA FUORI, in rappresentanza dei fedeli delle dodici borgate del Canale, aveva ottenuto dal patriarca che il pievano di Illegio nominasse un sacerdote per l'amministrazione dei Sacramenti nella valle d'Incaroio. II servizio reso dall'eletto non doveva, comunque, soddisfare le piccole comunitá se, nel 1309, con un'altra petizione, questa volta presentata da una delgazione formata da un certo Zanini di CASASO e Bertolo di CASTOIA, si chiedeva ad AQUILEIA un cappellano che risiedesse stabilmente in una delle dodici borgate: in quella piú idonea.
Ma si dovrá arrivare al 1533 prima che un sacerdote abbia fissa dimora nel Canale: si tratta, se dobbiamo credere a quanto resta di iscritto, di don Floreano de Speciariis nativo della vallata.
A quale delle ville appartenesse, non sappiamo: il suo cognome figura, comunque, fra quelli di DIERICO nel 1672.
come in genere tutti gli abitanti della montagna, qui, la gente é portata ad una religiositá profonda, ma sentita piuttosto in modo soggettivo, somma di tutti i fattori accennati, ma individualmente rielaborati in virtú di quella capacitá riflessiva, fantastica e costruttiva che distingue il montanaro.
La chiesa non é l'unico luogo di culto: ogni localitá, tra le montagne, ha una croce, passando davanti alla quale, ognuno recita la sua preghiera imparata in famiglia o sgorgante spontanea e dettata dal momento, dalle circostanze, dalle condizioni dello spirito.

Eccone un esempio:
'Us saludi, Crocefiss,
'us saludi, Salvatór!
Salvait l'anime mé,
o bon Signór!
II cimitero gli richiama il pensiero dell’al di lá ed allora il saluto ai defunti, la meditazione, la rassegnazione e l'invocazione:
'Us doi il bun di,
bons dormienz;
vó eris come me,
jo sarai come vó!
Vó preait par me,
jo prearai par vó.





Opere d’arte
Nel secolo XVI la chiesa di DIERICO si arricchisce del suo splendido altare in legno dorato, opera di Antonio Tirone da Bergamo che teneva bottega a Udine in Mercato Vecchio dal maggio del 1500.
La grande ancona, ordinata all'artista dai fedeli di DIERICO nel 1522, é ancora oggi intatta. Consta di tre gallerie sovrapposte con nove figure intere a tutto tondo in quella inferiore ed una statua del Redentore fra quattro vergini a mezza figura, nella galleria superiore.
L'opera, la migliore del Tirone, adorna di finissirni intagli rinascimentali anche nelle membrature architettoniche, rivela nelle statue una varietá di posizioni, di movimenti, di espressione e di panneggi del tutto singolare nella cerchia degli intagliatori nostrani.
A porre entro degna cornice l'opera, provvedeva subito dopo il pittore sandanielese Giulio Urbanis, vissuto tra il 1540 e il 1613: egli, infatti, discepolo di Pomponio Amalteo, decorava tutto il presbiterio con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Una parte dei suoi affreschi, quelli del soffitto, esistono tuttora, discretamente conservati. Gli affreschi delle pareti laterali del coro, portati alla luce alcuni anni fa raffigurano sei apostoli da un lato e sei dall'altro con sovrapposte le scene della Nativitá e della Crocifissione, mentre sopra i finestroni spiccano le figure di S. Lorenzo e di S. Stefano. Don Antonio Gallo, che, nel 1909, era cappellano a Dierico, rimetteva in luce i dipinti che definiva meravigliosi e rilevava con grande amarezza che erano deturpatí da buchi per l'intonaco. Partito lui dal paese, un altro strato di malta ricopriva gli affreschi dell'Urbanis, mentre i lavori di ampliamento della porta della sacrestia, cancellavano anche la data dell'opera (1598) e la firma dell'autore.
Continuando i nostri brevi cenni storici, sappiamo che nel 1669 la cura d'anime nella vallata non dipendeva piú dal parroco di Illegio. La popolazione era aumentata e c'era bisogno di altri sacerdoti; ma il patriarca di AQUILEIA non esaudiva subito le richieste ed era necessario ricorrere alla influenza del doge di VENEZIA il cui intervento si dimostrerá presto giovevole.
Nel 1737 anche DIERICO chiedeva un cappellano. Le ragioni erano valide e sufficienti: la distanza di oltre un miglio dalla parrocchiale di PAULARO, la strada frequentemente interrotta dallo straripamento del Chiarsó. Lo otteneva con decreto del patriarca il 27-11-1737.
Restava ancora insoluto per DIERICO, ed anche per le altre borgate dipendenti ecclesiasticamente da PAULARO, il problema del trasporto dei morti nel cimitero di S.VITO. Piú di una volta era accaduto che, a causa della interruzione della strada di accesso a PAULARO, i corpi dei defunti rimanessero insepolti per parecchi giorni. Per ovviare a simili inconvenienti le cappellanie, DIERICO compresa, venivano autorizzate, verso la metá del '700 a inumare i loro morti nei sagrati attorno alle chiese.
Se le chiese della vallata si erano rese indipendenti dalla pieve di ILLEGIO nel 1669, l'obbligo da parte dei fedeli del Canale d'Incaroio di recarvisi in processione il 4 maggio di ogni anno, sussistette fino al 1772, quando il patriarca esonerava i fedeli da tale impegno, legandoli invece a due processioni nll'ambito della vallata: una da PAULARO a SALINO e un'altra sempre da PAULRO a DIERICO per venerarvi S. Floriano.
In questo periodo si risolveva altresi un'annosa questione tra la villa di IMPONZO e le chiese locali per il possesso di alcune montagne comprese nella vallata e il 3-12-1760 la Repubblica Veneta decretava che il monte e il bosco di Ludin fossero tolti a Imponzo e donati alle chiese di PAULARO e di DIERICO
     
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